venerdì 11 gennaio 2013

Sei proposte per la maternità e la paternità

Premessa

Pensare e proporre un sistema di “welfare per i genitori” è proporre un tema inattuale. E alcuni (partiti politici, sindacati, governo) pensano inattuabile, non solo per la crisi economica e sociale che stringe in una morsa il paese da quattro anni, ma soprattutto perché pensare a un “welfare per i genitori” implica collegare necessariamente lavoro per il mercato e cura. Ma il lavoro di cura manca di riconoscimento, non produce discussioni, non entra a far parte di una possibile interrogazione su come fuoriuscire dalla crisi.

La cultura a cui apparteniamo è ancora segnata dall’organizzazione per ruoli, per primi quelli che separano gli uomini dalle donne. Ancora uomini e donne, coscienti o incoscienti di questo, agiscono costretti in vecchi stereotipi, che dividono e che solo apparentemente uniscono: da una parte il lavoro, dall’altra la cura. Ma oggi è tutto questo che è inattuale e soprattutto inattuabile, non solo perché la presenza sempre più attiva e competente delle donne nel governo della vita quotidiana e della cosa pubblica impone la presa d’atto, il rispetto e la valorizzazione del loro apporto e dei loro saperi, ma soprattutto perché il mondo di oggi ha bisogno del lavoro di tutti e della cura di tutti.

Noi crediamo che al di là della declamata impossibilità di aumentare la spesa pubblica per le politiche sociali e famigliari (che peraltro si attesta su meno della metà della media dei Paesi europei), sia ancora il retro-pensiero -testardo nella mente dei decisori politici - che famiglia e figli sono affare di donne (così brave a conciliare in proprio, così fantasticamente acrobate e , nel caso contrario, si arrangino o rinuncino a esserci nel mercato del lavoro) ad aver impedito che politiche di conciliazione e politiche di condivisione abbiano avuto voice nel nostro paese e abbiano contribuito non solo a una maggiore presenza sociale e a un maggior benessere delle donne, ma anche a un riequilibrio fra i generi.

Da questa constatazione e dalla convinzione dell’attualità del legame forte tra produzione e riproduzione è nato il gruppo Maternità&Paternità, con l’obiettivo di trasformare in proposte concrete (e realizzabili) questo impianto teorico.

Innanzitutto, l’idea  che anima il gruppo è quella di collocare la riflessione e le proposte di welfare per le madri e per i padri nel “nuovo” mondo del lavoro, quello, dei ventenni e dei trentenni che cercano lavoro e a cui le aziende offrono di tutto tranne che un rapporto di lavoro regolare. Un welfare quindi che comprenda oltre che i dipendenti, lavoratori e lavoratrici autonome, collaboratori, professionisti e partite Iva, madri a part time, padri con lavori intermittenti, etc. etc. Piuttosto che solo i/le tradizionali dipendenti a tempo pieno e a tempo indeterminato che occupano l’immaginario delle organizzazioni tradizionali della rappresentanza politica e sindacale. Il nostro obiettivo è quello di dare il via ad un percorso di unificazione in chiave universalistica e di riequilibrio del sistema di welfare che allarghi i diritti sociali e di cittadinanza a chi, senza distinzione tra donne e uomini (secondo il principio del caregiver universale), presta attività di cura. Da qui è nata la prima proposta sull’indennità di maternità universale, nata dalla constatazione delle trasformazioni davvero epocali che sono avvenute nel mondo del lavoro in questi ultimi dieci anni. La legge 53 è stata una buona legge (eventualmente mortificata nelle sue applicazioni concrete da impicci burocratici di applicazione) ma è una legge che non risponde alle esigenze delle donne che entrano ora nel mondo del lavoro. La distinzione tra chi lavora e chi non lavora è molto più difficile oggi e richiede una nuova idea di welfare, che non solo prenda atto delle trasformazioni nel mondo del lavoro e delle ricadute peggiorative sulle donne, ma anche miri a realizzare il definitivo passaggio verso l’universal caregiver, in modo che le madri (e le donne in generale) non vengano più considerate le uniche responsabili sociali della cura e gli uomini “diventino più simili a quello che sono adesso le donne, cioè persone che forniscono cure primarie”.

Il modello di welfare in cui inserire le nostre proposte

Caratteristiche importanti del welfare che vogliamo costruire dovrebbero essere:

§         “universale”, nel senso che i diritti di cittadinanza non dovrebbero essere più solo legati al lavoro retribuito come nel welfare novecentesco, ma anche al lavoro di cura, riconoscendone l’importanza per la vita di tutti: universale quindi nel senso dell’universal earner e universal caregiver; in aggiunta, per il caso italiano, “universale” anche nel senso di “riferito a tutte le forme del lavoro” e non solo lavoro dipendente

§         però “attivo”, nel senso che – sulla base della teoria delle capabilities - deve prevedere che i soggetti diano il loro contributo alla vita e all’economia (in particolare che siano attivi nel mercato del lavoro), mentre compito centrale del welfare state è aiutare i soggetti a strutturare e ad agire le proprie capacità

§         in particolare per la cura, vogliamo un welfare in grado di offrire “libertà di scelta”, nel senso che entro certi limiti i cittadini possano esercitare le proprie preferenze e strategie personali e familiari (è l’approccio su cui stanno convergendo, anche se in misura diversa, tutti i regimi di welfare, da quello Usa e quello Nordico;  è anche l’approccio più aperto al futuro, perché le ragioni di convenienza, non solo economica, tra le varie opzioni potrebbero  variare anche significativamente negli anni a venire)

§         in grado di offrire “reti di sicurezza”, per chi non ha lavoro, per chi non ha casa, per chi non ha reddito sufficiente, per le persone fragili, per chi non è autosufficiente

Le proposte

Le proposte fin qui elaborate dal gruppo mirano al riconoscimento - materiale e simbolico - del lavoro di cura e alla costruzione di un sistema integrato di welfare per la cura che allarghi le possibilità di scelta delle madri e dei padri nelle strategie di cura tra servizi pubblici, servizi di mercato e cura diretta, evitando però di incoraggiare la rinuncia all’occupazione da parte delle donne. Per questo ci ispiriamo alle migliori esperienze europee, non solo quelle nordiche ma anche, per esempio, quella più recente delle Francia.

Nello schema che segue, si può osservare come le diverse proposte elaborate dal gruppo siano coerenti con i caratteri del modello di welfare che auspichiamo.

 

 
indennità maternità universale
congedi parentali flessibili e lunghi
crediti di cura per pensione
sgravi fiscali a piccole imprese
incentivi a riduzione volontaria orario lavoro
riduzione tariffe asili
welfare "universale"
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welfare attivo
 
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libertà di scelta
 
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reti di sicurezza
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1.                                      Indennità universale di maternità per tutte le madri

Il 55% delle donne italiane sotto i 30 anni e il 40% delle donne sotto i 40 anni non accede all’indennità prevista dal D. lgs. 151/2001 (ex legge 53) (dati al 2009, attualmente è probabile che la situazione si sia ulteriormente aggravata). Questo è un ulteriore elemento che scoraggia la natalità.

Su una questione di importanza centrale per lo sviluppo umano, come la maternità, riteniamo necessario superare la logica delle tutele esclusivamente legate all’occupazione e al lavoro subordinato. E’ importante favorire la libera scelta delle donne di avere dei figli e il riequilibrio della fecondità, dare l’opportunità alle giovani di non attendere un lavoro stabile prima di fare un figlio.

Chiediamo un assegno di maternità per tutte le madri e indipendentemente dal lavoro, pari al 150% della pensione sociale (al 2012 circa 700 euro mensili, per 5 mesi), a carico della fiscalità generale, con contributi a carico INPS.

2.                                      Congedi parentali di livello europeo

I congedi previsti dalla legge sono rigidi e troppo poveri per costituire una reale possibilità di scelta in direzione della cura diretta dei bambini. Questa è anche una ragione per cui sono poco utilizzati dai padri.

Ci sembra importante consentire a tutti genitori  - indipendentemente dalla posizione nel lavoro (lavoro subordinato/collaborazioni/lavoro autonomo) - la possibilità effettiva di scegliere il proprio mix tra le diverse opzioni di cura (servizi per l’infanzia e cura diretta indennizzata). Nell’ottica di un welfare attivo, riteniamo che i periodi di cura non debbano causare la perdita del contatto con il lavoro e debba quindi essere garantita la continuità di reddito e contributiva. Ci sembra altrettanto importante in un Paese ancora tradizionalista nella cultura familiare come l’Italia, dare un impulso alla partecipazione dei padri alla cura e allo sviluppo di un modello genitoriale dual earner /dual caregiver.

Chiediamo per i congedi parentali, di elevarne la durata a 18 mesi, la dimensione della quota indennizzata al 60% e che siano estesi a tutte le tipologie contrattuali. Chiediamo anche che siano utilizzabili part time: una misura a costo zero che potrebbe ridurre l’abbandono del lavoro da parte delle donne che non ottengono il part time.

3.                                      Crediti di cura ai fini pensionistici

Le donne hanno dovuto rinunciare all’anticipo del pensionamento – che era loro riconosciuto proprio in quanto caregivers – ma le risorse liberate non sono state rese disponibili a loro favore e poco è cambiato sia dal punto di vista della offerta dei servizi e degli aiuti monetari  da parte dello Stato, sia dal punto di vista della condivisione della cura. In prospettiva – soprattutto alla luce del passaggio al sistema contributivo - è assolutamente  probabile che le pensioni delle donne si impoveriscano ulteriormente.

Le fasi della vita dedicate all’accudimento dei bambini vanno considerate, almeno dal punto di vista contributivo, come periodi lavorati. In un’ottica di cittadinanza sociale, le/i caregivers vanno tutelati anche dal punto di vista previdenziale: le riforme pensionistiche devono prendere in seria considerazione la opportunità di integrare le pensioni di chi si è dedicato alla cura.

Proponiamo:

§        contributi figurativi legati al numero dei figli (ed eventualmente altri impegni di cura): 24 mesi per il primo figlio e 12 per ogni figlio successivo (a scalare rispetto alla contribuzione già riconosciuta per indennità di maternità e di congedi parentali);

§        integrazioni contributive per i periodi di lavoro part time per ragioni di cura, dato che a maggior ragione col passaggio al contributivo chi lavora a part time risulta molto penalizzato nella pensione;

§        possibilità di anticipare la pensione, nel quadro di un sistema di pensionamento flessibile (62-67), in caso di perentorie necessità di cura di un anziano non autosufficiente.

4.                                      sgravi fiscali per le micro e piccole imprese

Il congedo di maternità ha un costo (l’integrazione dell’assegno al 100% della retribuzione, i ratei delle mensilità aggiuntive, le ferie e le ROL maturate anche nell’assenza, i  lunghi tempi per rimborsi Inps, etc.). Questo costo incide particolarmente sui conti delle micro imprese ed è probabilmente alla radice di molta parte della discriminazione subita dalle donne al momento della assunzione, oltre che pretesto per mobbing nei confronti delle madri al rientro dalla maternità.

Fin quando i costi della maternità non saranno interamente a carico della fiscalità generale, le donne saranno penalizzate, con riflessi importanti sull’economia del Paese e sulla loro autonomia personale ed economica.

Chiediamo che le micro e piccole imprese abbiano diritto ad un credito d’imposta per ogni congedo di maternità, utilizzabile a partire dall’anno di vita del bambino (per contrastare il fenomeno delle pressioni alle dimissioni entro l’anno) e ad una riduzione dell’Irap per i congedi parentali dei padri che prendono almeno tre mesi di congedo.

5.                                      un incentivo alla riduzione volontaria dell’orario di lavoro

Un pilastro fondamentale per la conciliazione è la destandardizzazione degli orari, sotto forma di orari flessibili e di riduzioni volontarie (part time) temporanee o durature.

L’inerzia del modello di orario di lavoro standard, nato sulla rappresentazione del lavoratore  come maschio-breadwinner, è ancora molto forte ed è di ostacolo ai nuovi modi di intrecciare la vita e il lavoro delle donne e delle giovani generazioni.  Un sistema di welfare attivo deve promuovere una più efficace conciliazione per le madri e per i padri tra i tempi delle responsabilità familiari e quello del lavoro retribuito e consentire così una maggiore libertà dei genitori di scegliere il regime di cura dei figli, anche riducendo in alcune fasi della vita la quantità di tempo dedicato al lavoro per il mercato.

Chiediamo l’attuazione del sistema già previsto dalla l.196/1997, art. 13 (cd pacchetto Treu) che stabilisce una rimodulazione delle aliquote contributive in base alle fasce orarie (ove le riduzioni di orario siano definite contrattualmente), per incentivare la scelta volontaria di orari ridotti.

6.                                      Riduzione delle tariffe degli asili-nido pubblici

L’offerta di asili-nido, pur migliorata nell’ultimo triennio resta abbondantemente al di sotto dello standard europeo e le tariffe – e il modo con cui vengono articolate in ragione del reddito familiare - restano spesso proibitive per  famiglie a due redditi (e insostenibili nel caso di due figli sotto i 3 anni).

In un’ottica di welfare attivo e di libertà di scelta nel regime di cura, se vogliamo permettere alle madri di continuare a lavorare dobbiamo fare in modo di spostare il costo-opportunità tra spesa per il nido e reddito da lavoro nella direzione di  quest’ultimo.

Chiediamo che i nidi non siano più considerati “servizi a domanda individuale” e che i costi siano resi più coerenti con una redistribuzione su tutta la filiera educativa. Chiediamo inoltre  che ci sia trasparenza nei costi sostenuti dalle amministrazioni locali nella creazione del servizio per favorire una maggiore efficienza amministrativa e quindi costi più bassi.