LA NOSTRA PROPOSTA ALLA REGIONE LOMBARDIA


  
Avere un figlio oggi è un privilegio?

In Italia, sembra proprio di sì. Negli ultimi 50 anni è stata conquistata una tutela della maternità ampia, che include la garanzia del mantenimento del lavoro, un’indennità di 5 mesi in corrispondenza del parto, i congedi parentali, la copertura pensionistica durante la maternità.
Ma i dati Istat ci dicono che il 40% della forza lavoro femminile sotto i quarant’anni (e il 55% sotto i trenta) non accede alla maternità con tutte le tutele perché la gran parte di esse spettano alla lavoratrice dipendente, mentre il numero di donne che non ha un contratto di lavoro subordinato è in costante crescita.


La proposta

Perché fare figli non sia più un privilegio per la maggior parte delle famiglie, proponiamo:
·     un'Indennità di maternità universale:un importo  da corrispondersi per cinque mesi a tutte le madri, indipendentemente dal fatto che siano dipendenti o autonome, che siano stabili o precarie, che lavorino o che non lavorino ancora.
·     Il riconoscimento di una contribuzione pensionistica figurativa per tale periodo

L'ammontare dell'indennità
Chiediamo il riconoscimento di un'indennità sulla base del 150% della pensione  sociale, da corrispondere a tutte e donne, indipendentemente dal reddito, così come avviene per l’istruzione e la sanità. L’importo dell’assegno sociale per l’anno 2010 risulta di 411,53 € per 13 mensilità, pari a 5.349,89 € l’anno. Abbiamo calcolato il 150% dell'importo annuo (8.025 € ) e lo abbiamo diviso per 12 (così da includere i ratei di tredicesima). Il risultato è  669 euro al mese, pari a un'indennità complessiva  di 3.344 euro per madre. L'indennità potrebbe integrare eventuali altre indennità o assegni percepiti dalla madre, se inferiori alla cifra proposta. Non dovrebbe essere cumulabile con il fondo NASKO[1], che assicurerà un'indennità sino ad un massimo di 4.500 euro (250 euro per massimo 18 mesi).

La contribuzione previdenziale
Con il sistema previdenziale contributivo è fondamentale permettere il riconoscimento dei periodi di non lavoro legati alla maternità, per evitare che le pensioni delle donne ne siano penalizzate.
Per questo motivo la legislazione nazionale nel testo unico in materia di tutela e sostegno alla maternità del 2001 (Decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151) ha introdotto una norma specifica. Il comma 2 dell'articolo 25 prevede che "(…) i periodi corrispondenti al congedo di maternità di cui agli articolo 16 e 17 [astensione obbligatoria dei 5 mesi o periodi superiori se gravidanza a rischio], verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro, sono considerati utili ai fini pensionistici, a condizione che il soggetto possa far valere, all'atto della domanda, almeno cinque anni di contribuzione versata in costanza di rapporto di lavoro". Tuttavia questa norma si applica solo "in favore dei soggetti iscritti al fondo pensioni lavoratori dipendenti e alle forme di previdenza sostitutive ed esclusive dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti". La stessa norma stabilisce che gli oneri derivanti da tali disposizioni siano addebitati alla relativa gestione pensionistica.

Sono escluse da questa misura le donne iscritte ad altre forme di previdenza, quali:
·     la Gestione Separata INPS (Collaboratrici e professioniste con partite Iva);
·     le lavoratrici che avessero più di cinque anni di contribuzione, ma non in maniera continuativa e con la stessa gestione.

Ancora una volta la legislazione non è riuscita ad adeguarsi ai cambiamenti del contesto socio lavorativo, ha escluso alcune tipologie di lavoro, peraltro in forte crescita soprattutto tra le donne, e penalizza i lavoratori che hanno percorsi intermittenti e riferiti a diverse gestioni.

La Regione Lombardia dovrebbe fare pressioni a livello nazionale per promuovere una legge che estendesse la legge attuale a tutte le lavoratrici, e che eliminasse la clausola di continuità lavorativa di 5 anni nella stessa gestione.

Gli oneri potrebbero essere attribuiti alle gestioni di riferimento, eventualmente con una integrazione della fiscalità generale.

Beneficiarie dell'indennità universale
Tutte le madri che non hanno la tutela base, ovvero la copertura dei 5 mesi di maternità, oppure che hanno un’indennità inferiore a quella da noi proposta.
·     Le donne inattive, ad es. le studentesse o le donne che svolgono compiti di cura familiare;
·     Le donne disoccupate non iscritte alle liste di collocamento;
·     Le stagiste e tirocinanti: alle "tradizionali" tirocinanti che si stanno preparando all'abilitazione professionale per esercitare una professione liberale (avvocato, commercialista, psicologo etc. negli ultimi anni si è aggiunto un vero e proprio esercito di stagiste, inserite in imprese ed organizzazioni;
·     Le donne che lavorano come autonome (collaboratrici e professioniste) ma non hanno un adeguato pregresso contributivo.
·       Le donne che hanno diritto ad una indennità o ad un assegno di maternità inferiore a quella indicata con la presente misura. Per queste donne si propone un assegno per differenza (cosiddetto quota differenziale). Rientrano tra queste :
o      le donne che ricevono l'assegno dallo Stato (Decreto legislativo - 26/03/2001, n. 151), rivolto alle madri lavoratrici  o ex-lavoratrici (con almeno 3 mesi di contributi nel periodo compreso tra i nove e i diciotto mesi prima del parto, e le madri che hanno lavorato per almeno 3 mesi negli ultimi 9 mesi) che non hanno diritto ad altri trattamenti di maternità. Si tratta di un assegno di importo complessivo pari ad 1.902,90 per le nascite o gli ingressi in famiglia verificatisi nell’anno 2009 (ultimo dato riportato sul sito INPS)[2]. La quota aggiuntiva da erogare sarebbe 1.441  (3.344-1.903);
o      le donne che ricevono l'assegno erogato dall'INPS su segnalazione dei Comuni[3], rivolto alle madri che non hanno diritto né alle altre indennità di maternità né all'assegno statale. Per il 2010 l'importo è di 311,27 euro mensili, per un totale di 1.556,35 euro. Il diritto all'assegno è subordinato a limiti di reddito, alla numerosità della famiglia e ad altre specifiche condizioni, considerate attraverso dei parametri, l'Indicatore della Situazione Economica (Ise), e l'Indicatore della Situazione Economica Equivalente (Isee)[4]. La quota aggiuntiva da erogare sarebbe 1.788 euro (3.344-1.556). Nel 2009 in Lombardia sono stati erogati 13.127 assegni.
o      Le donne lavoratrici che ricevono un'indennità dalla propria gestione previdenziale inferiore a quella proposta.

Quante le beneficiarie?

Secondo i dati del bilancio demografico dell’Istat in Lombardia nel 2009 sono nati 94.653 bambini (di donne residenti, sono esclusi i figli di donne non residenti), a cui dovrebbero corrispondere circa 93.500 mamme (l’incidenza dei parti gemellari è del 2,6% in Italia).
Quante mamme hanno avuto una copertura della maternità?
La stima è veramente complessa, in mancanza di dati certi sulla situazione occupazionale (disponiamo solo di stime) e di dati coerenti sui trasferimenti dell’INPS.

Abbiamo tentato due strade.

Stima sulla base del numero di indennità
Dal bilancio pubblicato dall’INPS per il 2009, risulta che:
·       circa 75.000 mamme hanno ricevuto un’indennità da lavoratrice dipendente
·       3.233 mamme hanno ricevuto un’indennità da lavoratrice autonoma
·       2.192 mamme hanno ricevuto un’indennità da gestione separata (per circa la metà l’indennità potrebbe essere stata inferiore a quella qui proposta[5])
In totale quindi hanno ricevuto un’indennità legata alla posizione lavorativa 80.425 mamme (mancano i dati delle professioniste con cassa previdenziale privata).
Gli assegni di maternità erogati dall’inps su indicazione dei comuni sono stati, sempre nel 2009, 13.127.
Sulla base di questi dati tutte le mamme avrebbero ricevuto un’indennità di maternità! Non può essere corretto, è evidente che i dati non sono coerenti.
E’ possibile che i dati forniti dall’INPS sulle indennità delle dipendenti siano territorialmente definiti sulla base della sede dell’impresa e non della residenza delle mamme (le imprese anticipano l’indennità e l’INPS rimborsa le imprese). La Lombardia è area di attrazione per donne che risiedono fuori dalla Lombardia e questo spiegherebbe l’elevato numero di indennità erogate a dipendenti.
Naturalmente molte delle mamme hanno ricevuto un’indennità inferiore a quella qui proposta: non solo le mamme che hanno avuto l’indennità dai Comuni, ma anche una parte delle mamme che hanno ricevuto l’indennità dall’INPS (della gestione separata, ma non solo, anche altre lavoratrici autonome e colf).
Stima a partire dai dati occupazionali
Abbiamo fatto una stima, ipotizzando che la probabilità di avere un figlio non sia influenzata dalla situazione lavorativa.
Coi dati ISTAT FORZE LAVORO (del 2009) abbiamo calcolato la distribuzione delle donne per status occupazionale e età:
·       Le categorie occupazionali sono: inattivo, non occupato, occupato [a sua volta distinguendo tra collaboratore, autonomo, dipendente (a tempo indeterminato e a tempo determinato)]
·       Le classi di età sono di 5 anni dai 15 anni a 54 anni (15-19, 20-24,...50-54)

Abbiamo stimato che:
·       le mamme senza alcuna occupazione, in quanto inattive o in cerca di occupazione sono circa 27.000. Questo numero include:
a.    le mamme che ricevono l’indennità INPS su segnalazione dei Comuni (13.127 mamme per complessivi 20.566.784 €))
b.    le mamme disoccupate iscritte alle liste di disoccupazione in Lombardia, che hanno ricevuto l’indennità dall’INPS. Non ci sono dati in proposito.
c.     le mamme che hanno ricevuto l'indennità di stato, su cui non esistono dati
E’ possibile definire un dato massimo di mamme senza alcuna indennità: 14.000, che certamente è molto sovrastimato.

Quale il budget necessario?
La stima è:
·       23.300.000 € per integrare gli assegni dei comuni
·       3- 4.000.000 € per integrare le indennità da lavoro (gestione separata, autonome, colf…)
·       10-15.000.000€ per assicurare l’indennità a chi non ne ha alcuna (ipotesi di 3.000-4.500 mamme senza indennità)

Totale 36.300.000- 42.300.000.
Vanno però dedotte le mamme che beneficeranno delle agevolazioni NASKO.


[1] Il Fondo regionale Nasko è finalizzato al sostegno economico di interventi a tutela della maternità e a favore della natalità. Tale sostegno sarà utilizzabile per l’acquisto di beni e servizi per la madre e il bambino.
Beneficiari del Fondo Nasko sono le future mamme che rinunciano alla scelta di interrompere volontariamente la gravidanza, in presenza di un aiuto economico e di una proposta di progetto personalizzato.
[2] L’assegno spetta:
·       in misura intera, se la madre non ha diritto all’indennità di maternità (o ad altro trattamento economico per maternità)
·       per differenza, nel caso in cui la madre ha diritto ad un’indennità di maternità (o ad un altro trattamento economico per maternità) di importo complessivo inferiore rispetto all’importo dell’assegno.
L’assegno viene pagato per ogni figlio; quindi, in caso di parto gemellare oppure di adozione o affidamento di più minori, l’importo dell’assegno è moltiplicato per il numero dei nati o adottati/affidati.
L'assegno è erogato entro 120 giorni dalla richiesta e non è cumulabile con quello del Comune, ma è compatibile con altre forme di sostegno.
[3] Sono donne che non hanno nessuna copertura previdenziale, nè i requisiti sufficienti per chiedere gli assegni di maternità dello Stato. Per avere diritto devono rientrare entro definiti parametri di reddito
[4] Come valore indicativo per l'anno 2010, il reddito annuo di una famiglia di tre persone non deve superare 32.448,22 euro. Il proprio Ise ed Isee può essere richiesto agli uffici comunali o ai Centri di Assistenza Fiscale. Questo sussidio economico è cumulabile con l'assegno per il nucleo familiare, con quello per famiglie con tre figli minori e con le altre indennità erogate dall'Inps e dagli Enti locali.

[5] Sulla base dei dati INPS della gestione separata suddivisi per fasce di reddito,  quasi i 2/3 delle collaboratrici nelle fasce di età fertili hanno un reddito inferiore ai 10.000 euro annui (un reddito di 10.000 euro garantirebbe un’indennità di maternità complessiva di 2.670 euro), mentre per le professioniste che rientrano nella gestione separata non esistono dati di reddito.