TESTO COMPLETO DELLA PROPOSTA




Avere un figlio oggi è un privilegio? una sfida? un rischio troppo forte? un desiderio che viene continuamente rimandato? Sembrerebbe di sì, visto che le tutele previste spesso si fermano alle lavoratrici dipendenti (e anche per loro aumentano le difficoltà). E le altre? Quelle che non hanno ancora trovato un lavoro o che l’hanno perso? Quelle che entrano nel mercato del lavoro in modo precario e intermittente o con modalità di lavoro autonomo? E sono tante: oggi il 43% delle donne italiane con età inferiore ai 40 anni, e oltre la metà (55%) di quelle che ne hanno meno di 30, se decidono di avere un figlio non accedono alla maternità con tutti i diritti previsti dalla legge[1]. Tutta la legislazione sulla maternità, infatti, è  stata costruita per le lavoratrici “standard” , le lavoratrici a tempo indeterminato, ma solo una parte delle giovani donne ricade oggi in questa categoria. E d’altra parte, sul fronte congedi parentali, non si può continuare ad appoggiarsi a una legge come la 53 (parzialmente confluita nel D. Lgs. 151/2001), pur innovativa nel 2000, che è rimasta indietro rispetto alle grandi trasformazioni sociali e del mercato del lavoro[2].
E gli uomini, i padri, che ne è stato di loro? Condividono molto poco  con le loro mogli e compagne il lavoro di cura e la responsabilità dei figli, utilizzano molto poco i congedi parentali, anche perché l’indennità è risibile, le aziende li vedono malissimo, non possono essere utilizzati a part-time e comunque spesso, se sono precari, lavoratori autonomi o liberi professionisti, non ne hanno nemmeno diritto.. Eppure anche loro, come le lavoratrici madri, vorrebbero avere la possibilità – come in tutti i paesi civili – di poter essere presenti sia nel mercato del lavoro sia nelle responsabilità di cura.
Inoltre tutti, donne e uomini, vorrebbero non essere penalizzati con pensioni impoverite a causa del tempo dedicato alla cura.
E allora bisogna avere il coraggio di cambiare: le leggi, le pratiche, la cultura della maternità e della paternità.
Come?

Il gruppo Maternità & Paternità è in grado di avanzare delle proposte concrete.
Il gruppo è formato da studiose e studiosi, madri e padri “attivi”, professionisti e operatori impegnati a vario titolo in associazioni e istituzioni e sta lavorando per proporre nuove politiche di welfare. Ha cominciato a lavorare un anno fa per presentare una proposta alternativa nel confronto allora in corso per l’innalzamento dell’età pensionabile[3]. Dalla fine dell’estate, il gruppo, inizialmente formato da Marina Piazza, Anna M. Ponzellini e Anna Soru, si è ampliato con la partecipazione di Sabina Guancia, Maria Benvenuti, Caterina Duzzi e altre giovani madri e padri. Si tratta di persone portatrici di esperienze di lavoro diverse, che si sono impegnate a disegnare le proposte per uscire da questa impasse tutta italiana andando oltre l’impostazione, corporativa e superata, che prevede trattamenti differenziati per le diverse categorie di lavoratori. L’idea che anima il gruppo è quella di collocare la riflessione e le proposte di welfare per le madri e per i padri nel “nuovo” mondo del lavoro, quello “dei ventenni e dei trentenni che cercano lavoro e a cui le aziende offrono di tutto tranne che un rapporto di lavoro regolare…”[4]. Un welfare quindi che comprenda oltre che i dipendenti, lavoratori e lavoratrici autonome, collaboratori, professionisti e partite Iva, madri a part time, padri con lavori intermittenti, piuttosto che solo i/le tradizionali dipendenti a tempo pieno e a tempo indeterminato che occupano l’immaginario delle organizzazioni tradizionali della rappresentanza politica e sindacale. Un welfare non solo lavoristico ma fondato su una nuova idea di cittadinanza.
Su questo, il Gruppo Maternità&Paternità vuole stimolare un dibattito pubblico.

Le proposte. Le proposte fin qui elaborate dal gruppo mirano al riconoscimento - materiale e simbolico - del lavoro di cura e alla costruzione di un sistema integrato di welfare per la cura che allarghi le possibilità di scelta delle madri e dei padri nelle strategie di cura tra servizi pubblici, servizi di mercato e cura diretta, evitando però di incoraggiare la rinuncia all’occupazione da parte delle donne. Per questo ci ispiriamo alle migliori esperienze europee, non solo quelle nordiche ma anche, per esempio, quella più recente delle Francia, che oltre ad una generosa offerta di asili pubblici e privati (e di assistenti materne accreditate) prevede lunghi congedi pagati a partire dal secondo figlio.
Le misure si muovono in tre diversi ambiti:

1. Misure universali per la maternità e la paternità
Le nostre proposte tengono conto del dibattito in corso su questi temi e delle  proposte avanzate dal governo e dall’opposizione[5], nonché delle normative in atto negli altri paesi europei: 
-        Indennità di maternità universale[6]: un importo da corrispondersi per cinque mesi a tutte le madri, indipendentemente dal fatto che siano dipendenti o autonome, che siano stabili o precarie, che lavorino o che non lavorino ancora[7].
-        Congedi parentali di livello europeo. Proponiamo l’avvicinamento della nostra normativa (in particolare, il testo unico su maternità e paternità, D. Lgs. n. 151 del 2001) alle norme vigenti negli altri paesi europei sia rispetto alla durata (18 mesi, di cui almeno 6 vincolati all’uso da parte dal padre)[8] sia rispetto alla quota indennizzata (60% entro i tre anni del bambino)[9]. Per tutta la durata dei congedi parentali va riconosciuta la contribuzione figurativa.
-        Estensione dei congedi a tutti gli iscritti alla gestione separata (es. collaborazioni coordinate e continuative, collaboratori a progetto, partita Iva), che già versano contributi a questo scopo[10].
-        Congedo parentale a part-time:  proponiamo che venga stabilita la possibilità di utilizzare il congedo sotto forma di orario ridotto[11].
-        Ore “allattamento”: estensione della riduzione d’orario giornaliera di due ore fino all’anno del bambino anche per i genitori non dipendenti, con le stesse modalità utilizzate per l’indennità di maternità[12].
-        Congedo di paternità:  10 giorni di congedo obbligatorio, per tutti i padri lavoratori, sia dipendenti sia non, con una indennità pari all’80% della retribuzione (o del reddito preso a riferimento per l’indennità di maternità nel caso di iscritti alla Gestione separata), subordinata alla effettiva interruzione del lavoro, da utilizzare entro i 3 mesi successivi dalla data del parto[13].

2. Tutele e supporti alla continuità del lavoro (e del reddito) durante i periodi di maternità e di cura
Dato che la maternità spesso comporta il non rinnovo dei contratti a termine (sia da dipendenti sia da collaboratori) e quindi la perdita del lavoro o comunque una riduzione di capacità di lavoro per professioniste/i e collaboratrici/tori che si prendono cura di un figlio (o di un anziano), ci sembrano utili:
-        Politiche attive per il lavoro – voucher formativi, supporto nelle ricerca del lavoro - per chi rientra sul mercato del lavoro dopo un’assenza per la cura
-        Integrazioni al reddito o indennità di disoccupazione (con la relativa copertura figurativa),  per chi è in possesso di almeno 12 mesi di anzianità contributiva.

3. Crediti di cura ai fini pensionistici
In luogo del vecchio beneficio dell’anticipo della pensione per le donne, proponiamo:
-        Contributi figurativi legati al numero dei figli (ed eventualmente altri impegni di cura): 24 mesi per il primo figlio e 12 per ogni figlio successivo, con un meccanismo a scalare rispetto alla contribuzione già riconosciuta a titolo di indennità di maternità e di congedi parentali.[14]
-        Integrazioni contributive per i periodi di lavoro part time, dovuti a comprovate esigenze di cura, dato che chi lavora a part time risulta molto penalizzato nella pensione, soprattutto nel passaggio al regime contributivo[15];
-        Possibilità di anticipare la pensione, nel quadro di un sistema di pensionamento flessibile (62-67), attraverso l’acquisizione di contributi figurativi, in caso di perentorie necessità di cura di un anziano non autosufficiente convivente.



[1] Il dato è ottenuto considerando non standard  le donne che fanno parte delle forze lavoro ma non sono inserite con un contratto dipendente a tempo indeterminato (Fonte Istat Indagine continua sulle forze lavoro 2009).
[2] Anche per quanto riguarda il lavoro dipendente, indubbiamente il più “coperto”, contrariamente a quanto comunemente si crede,  l’Italia, nel confronto con gli altri paesi dell’Europa allargata,  si colloca in posizione medio-bassa, con i suoi 14 mesi complessivi (tra maternità post-partum e congedi parentali) di congedi pagati. Meglio dell’Italia si posizionano, tra le altre, Germania (34 mesi di cui 14 pagati),  Austria (24 mesi), Francia e Norvegia (36 mesi): v. l’elenco completo in Family policy in Council of Europe Member States, giugno 2009.
[3] La proposta “Età pensionabile delle donne e valorizzazione del lavoro di cura” di Marina Piazza, Anna M. Ponzellini e Anna Soru.
[4] P. Ichino, Corriere della sera, 8 febbraio 2010
[5] In particolare: DDL 784 (prima firmataria Vittoria Franco, PD); DDL 1405 (prima firmataria Patrizia Bugnano, IdV); DDL 2618 (prima firmataria Alessia Mosca, PD) e DDL 1718 (prima firmataria Helga Thaler Ausserhofer, UDC-SVP-Aut).
[6] La maternità è un ambito che appare ideale per iniziare a costruire e sperimentare un sistema di welfare universalistico – non più basato sul lavoro né solo sul lavoro dipendente - perché non si presta a comportamenti opportunistici (una maternità non può essere simulata).
[7]L’importo mensile potrebbe essere pari al 150% dell’attuale pensione sociale (quindi arrivare a poco più di 500 euro mensili per cinque mesi). Si tratta di un importo superiore a quello dell’assegno erogato dai Comuni e vincolato ad un reddito familiare basso (nel 2009 era di 309 euro mensili) e anche a quello erogato dallo Stato per le disoccupate con un minimo di contribuzione (nel 2009 era pari a 1902 euro complessivi per i cinque mesi): quindi potrebbe sostituire entrambe queste misure e, nel caso,  andare ad  integrare l’importo che risulta dai calcoli della indennità già prevista per le collaboratrici a progetto e per le partite IVA, quando questo risulta inferiore. 
L’indennità sarebbe a carico della fiscalità generale, indicizzata e utile ai fini pensionistici (anche nel caso sia goduta prima dell’ingresso nel mercato del lavoro).  Mentre la corrispondente contribuzione figurativa a carico dell’Inps. Il calcolo dell’indennità pensionistica figurativa dovrà sempre essere effettuato alla fine della vita lavorativa, con riferimento al quinquennio di maggior reddito.  
[8] 18 mesi di congedo, uniti ai tre/quattro mesi della maternità post-partum e alle ferie, permetterebbero a quei genitori che si indirizzano verso questa scelta di coprire - in regime di cura diretta e indennizzata - i primi due anni del bambino/a (e a quel punto di trovare con meno difficoltà servizi per l’infanzia pubblici o privati dove inserirlo/a).
[9] Attualmente ai dipendenti sono riconosciuti 10 mesi complessivi tra madre e padre, elevabili a 11 mesi se il padre ne usufruisce più di 3; la misura dell’indennità è pari al 30% fino ai 3 anni (dopo i 3 anni e fino agli 8 l'indennità spetta a condizione che il reddito individuale del genitore richiedente non superi due volte e mezzo l'importo del trattamento minimo pensionistico in vigore a quella data).
[10] Attualmente, riguardo alle collaborazioni a progetto e categorie assimilate a partire dalla legge finanziaria 2007, è riconosciuta la possibilità di un congedo parentale per madri o padri iscritti alla Gestione separata limitatamente a un periodo di 3 mesi con una indennità pari al 30% del reddito preso a riferimento per la corresponsione dell’indennità di maternità; il congedo è usufruibile fino a 1 anno di età del bambino. I liberi professionisti non hanno diritto di usufruire del congedo parentale, ma versano quanto i collaboratori.
[11] La possibilità di utilizzo sarebbe nei limiti delle ore previste dai 18 mesi di congedo parentale e con la possibilità di usufruire del relativo indennizzo del 60% per le ore non-lavorate ma limitatamente ai tre anni del bambino/a (oltre i tre anni si mantiene il diritto ma non l’indennità).
Anche i DDL 784 e DDL 2618 prevedono, seppure con differenti modalità, la possibilità di usufruire dei congedi parentali attraverso riduzioni di orario.
[12]  Nel caso delle non dipendenti, si ipotizza la corresponsione di una indennità pari al 20% del reddito preso a riferimento per l’indennità di maternità (e la previsione della corrispondente copertura figurativa).
[13] Questa è anche la proposta contenuta nel DDL 784.
[14]Il riconoscimento di contributi figurativi per la cura dei figli è presente in diversi ordinamenti europei. Alcuni esempi non esaustivi: in Austria, è previsto un periodo massimo di 4 anni (di contributi figurativi) per ciascun figlio;  in Germania, la contribuzione figurativa viene riconosciuta a chi si prende cura di due (o più) figli di età inferiore ai 10 anni e non ha un lavoro retribuito;  nel Regno Unito è prevista, tra le altre cose, la riduzione di un anno del periodo minimo necessario di versamenti contributivi (per l’ottenimento della pensione) per ciascun anno speso nella cura di un figlio minore di 16 anni. Si tratta di contributi da mettere a carico della fiscalità generale. La contribuzione figurativa dovrebbe essere prevista anche nelle situazioni in cui non è stato possibile usufruire di congedi parentali (perché la tipologia di lavoro svolto non lo consentiva o perché la mamma o il papà ha iniziato a lavorare dopo il periodo dedicato alla cura dei figli). Il calcolo dell’indennità pensionistica figurativa dovrà anche in questo caso essere effettuato alla fine della vita lavorativa, con riferimento al quinquennio di maggior reddito. Più in generale, riguardo la copertura finanziaria alla normativa che proponiamo, riteniamo che la parte delle risorse destinata all’estensione del sistema dei congedi alle categorie di lavoro atipico possa semplicemente essere reperita dalla cassa Maternità Inps, dove già confluiscono anche i contributi specifici per maternità e paternità versati da collaboratori e partite Iva. Le altre risorse potrebbero essere reperite dei risparmi derivanti dall’innalzamento dell’età pensionabile delle lavoratrici (a cominciare da quelli, che dovrebbero essere stati già accantonati, delle dipendenti del pubblico impiego), sia da stanziamenti ad hoc: conviene sottolineare che in Italia la spesa sociale a favore della famiglia e bambini è solo dell’1.1.% del PIL (dati 2005) rispetto al 2.5% della Francia e il 3.2% della Germania. Poiché un punto di PIL italiano vale 15.7 miliardi di euro (2008), colmare il divario rispetto alla Francia comporta una riallocazione di spesa pari a 22 miliardi di euro, che rappresenta una cifra impegnativa ma possibile.
[15] In Germania esiste una misura di questo tipo: il riconoscimento di contributi integrativi figurativi per coloro che, pur avendo un lavoro retribuito nel periodo compreso fino ai 10 anni del figlio, guadagnino meno della “media” (ad esempio perché lavorano part time.