Pensare e proporre un sistema di “welfare per i genitori” è
proporre un tema inattuale. E alcuni (partiti politici, sindacati, governo)
pensano inattuabile, non solo per la crisi economica e sociale che stringe in
una morsa il paese da quattro anni, ma soprattutto perché pensare a un “welfare
per i genitori” implica collegare necessariamente lavoro per il mercato e cura.
Ma il lavoro di cura manca di riconoscimento, non produce discussioni, non
entra a far parte di una possibile interrogazione su come fuoriuscire dalla
crisi.
La cultura a cui apparteniamo è ancora segnata
dall’organizzazione per ruoli, per primi quelli che separano gli uomini dalle
donne. Ancora uomini e donne, coscienti o incoscienti di questo, agiscono
costretti in vecchi stereotipi, che dividono e che solo apparentemente
uniscono: da una parte il lavoro, dall’altra la cura. Ma oggi è tutto questo
che è inattuale e soprattutto inattuabile, non solo perché la presenza sempre
più attiva e competente delle donne nel governo della vita quotidiana e della
cosa pubblica impone la presa d’atto, il rispetto e la valorizzazione del loro
apporto e dei loro saperi, ma soprattutto perché il mondo di oggi ha bisogno
del lavoro di tutti e della cura di tutti.
Noi crediamo che al di là della declamata impossibilità di
aumentare la spesa pubblica per le politiche sociali e famigliari (che peraltro
si attesta su meno della metà della media dei Paesi europei), sia ancora il
retro-pensiero -testardo nella mente dei decisori politici - che famiglia e
figli sono affare di donne (così brave a conciliare in proprio, così
fantasticamente acrobate e , nel caso contrario, si arrangino o rinuncino a
esserci nel mercato del lavoro) ad aver impedito che politiche di conciliazione
e politiche di condivisione abbiano avuto voice nel nostro paese e abbiano
contribuito non solo a una maggiore presenza sociale e a un maggior benessere
delle donne, ma anche a un riequilibrio fra i generi.
Da questa constatazione e dalla convinzione dell’attualità del
legame forte tra produzione e riproduzione è nato il gruppo
Maternità&Paternità, con l’obiettivo di trasformare in proposte concrete (e
realizzabili) questo impianto teorico.
Innanzitutto, l’idea che
anima il gruppo è quella di collocare la riflessione e le proposte di welfare
per le madri e per i padri nel “nuovo” mondo del lavoro, quello, dei ventenni e
dei trentenni che cercano lavoro e a cui le aziende offrono di tutto tranne che
un rapporto di lavoro regolare. Un welfare quindi che comprenda oltre che i
dipendenti, lavoratori e lavoratrici autonome, collaboratori, professionisti e
partite Iva, madri a part time, padri con lavori intermittenti, etc. etc.
Piuttosto che solo i/le tradizionali dipendenti a tempo pieno e a tempo indeterminato
che occupano l’immaginario delle organizzazioni tradizionali della
rappresentanza politica e sindacale. Il nostro obiettivo è quello di dare il
via ad un percorso di unificazione in chiave universalistica e di riequilibrio
del sistema di welfare che allarghi i diritti sociali e di cittadinanza a chi,
senza distinzione tra donne e uomini (secondo il principio del caregiver
universale), presta attività di cura. Da qui è nata la prima proposta
sull’indennità di maternità universale, nata dalla constatazione delle
trasformazioni davvero epocali che sono avvenute nel mondo del lavoro in questi
ultimi dieci anni. La legge 53 è stata una buona legge (eventualmente
mortificata nelle sue applicazioni concrete da impicci burocratici di
applicazione) ma è una legge che non risponde alle esigenze delle donne che
entrano ora nel mondo del lavoro. La distinzione tra chi lavora e chi non
lavora è molto più difficile oggi e richiede una nuova idea di welfare, che non
solo prenda atto delle trasformazioni nel mondo del lavoro e delle ricadute
peggiorative sulle donne, ma anche miri a realizzare il definitivo passaggio
verso l’universal caregiver, in modo che le madri (e le
donne in generale) non vengano più considerate le uniche responsabili sociali
della cura e gli uomini “diventino più simili a quello che sono adesso le
donne, cioè persone che forniscono cure primarie”.
Il modello di welfare in
cui inserire le nostre proposte
Caratteristiche importanti del welfare che vogliamo costruire
dovrebbero essere:
§
“universale”, nel senso che i diritti di
cittadinanza non dovrebbero essere più solo legati al lavoro retribuito come
nel welfare novecentesco, ma anche al lavoro di cura, riconoscendone
l’importanza per la vita di tutti: universale quindi nel senso dell’universal earner e universal caregiver; in aggiunta, per il caso italiano,
“universale” anche nel senso di “riferito a tutte le forme del lavoro” e non
solo lavoro dipendente
§
però “attivo”, nel senso che – sulla
base della teoria delle capabilities
- deve prevedere che i soggetti diano il loro contributo alla vita e
all’economia (in particolare che siano attivi nel mercato del lavoro), mentre
compito centrale del welfare state è aiutare i soggetti a strutturare e ad
agire le proprie capacità
§
in particolare per la cura, vogliamo un
welfare in grado di offrire “libertà di scelta”, nel senso che entro certi
limiti i cittadini possano esercitare le proprie preferenze e strategie
personali e familiari (è l’approccio su cui stanno convergendo, anche se in
misura diversa, tutti i regimi di welfare, da quello Usa e quello Nordico; è anche l’approccio più aperto al futuro,
perché le ragioni di convenienza, non solo economica, tra le varie opzioni
potrebbero variare anche
significativamente negli anni a venire)
§
in grado di offrire “reti di sicurezza”,
per chi non ha lavoro, per chi non ha casa, per chi non ha reddito sufficiente,
per le persone fragili, per chi non è autosufficiente
Le proposte
Le proposte fin qui elaborate dal gruppo mirano al
riconoscimento - materiale e simbolico - del lavoro di cura e alla costruzione
di un sistema integrato di welfare per la cura che allarghi le possibilità di
scelta delle madri e dei padri nelle strategie di cura tra servizi pubblici,
servizi di mercato e cura diretta, evitando però di incoraggiare la rinuncia
all’occupazione da parte delle donne. Per questo ci ispiriamo alle migliori
esperienze europee, non solo quelle nordiche ma anche, per esempio, quella più
recente delle Francia.
Nello schema che segue, si può osservare come le diverse
proposte elaborate dal gruppo siano coerenti con i caratteri del modello di
welfare che auspichiamo.
|
indennità maternità universale
|
congedi parentali flessibili e lunghi
|
crediti di cura per pensione
|
sgravi fiscali a piccole imprese
|
incentivi a riduzione volontaria orario lavoro
|
riduzione tariffe asili
|
welfare
"universale"
|
O
|
O
|
O
|
|
|
|
welfare attivo
|
|
O
|
O
|
O
|
O
|
O
|
libertà di scelta
|
|
O
|
|
|
O
|
O
|
reti di sicurezza
|
O
|
|
O
|
|
|
|
1.
Indennità universale di maternità per tutte le madri
Il 55% delle donne italiane sotto i
30 anni e il 40% delle donne sotto i 40 anni non accede all’indennità prevista
dal D. lgs. 151/2001 (ex legge 53) (dati al 2009, attualmente è probabile che
la situazione si sia ulteriormente aggravata). Questo è un ulteriore elemento
che scoraggia la natalità.
Su una questione di importanza centrale per lo sviluppo umano,
come la maternità, riteniamo necessario superare la logica delle tutele
esclusivamente legate all’occupazione e al lavoro subordinato. E’ importante favorire
la libera scelta delle donne di avere dei figli e il riequilibrio della
fecondità, dare l’opportunità alle giovani di non attendere un lavoro stabile
prima di fare un figlio.
Chiediamo un assegno di maternità per tutte le madri e
indipendentemente dal lavoro, pari al 150% della pensione sociale (al 2012
circa 700 euro mensili, per 5 mesi), a carico della fiscalità generale, con
contributi a carico INPS.
2.
Congedi parentali di livello europeo
I congedi previsti dalla legge sono
rigidi e troppo poveri per costituire una reale possibilità di scelta in
direzione della cura diretta dei bambini. Questa è anche una ragione per cui
sono poco utilizzati dai padri.
Ci sembra importante consentire a tutti genitori - indipendentemente dalla posizione nel
lavoro (lavoro subordinato/collaborazioni/lavoro autonomo) - la possibilità
effettiva di scegliere il proprio mix tra le diverse opzioni di cura (servizi
per l’infanzia e cura diretta indennizzata). Nell’ottica di un welfare attivo,
riteniamo che i periodi di cura non debbano causare la perdita del contatto con
il lavoro e debba quindi essere garantita la continuità di reddito e
contributiva. Ci sembra altrettanto importante in un Paese ancora
tradizionalista nella cultura familiare come l’Italia, dare un impulso alla
partecipazione dei padri alla cura e allo sviluppo di un modello genitoriale dual earner /dual caregiver.
Chiediamo per i congedi parentali, di elevarne la durata a 18
mesi, la dimensione della quota indennizzata al 60% e che siano estesi
a tutte le tipologie contrattuali. Chiediamo anche che siano utilizzabili
part time: una misura a costo zero che potrebbe ridurre l’abbandono del
lavoro da parte delle donne che non ottengono il part time.
3.
Crediti di cura ai fini pensionistici
Le donne hanno dovuto rinunciare all’anticipo del pensionamento
– che era loro riconosciuto proprio in quanto caregivers – ma le risorse
liberate non sono state rese disponibili a loro favore e poco è cambiato sia
dal punto di vista della offerta dei servizi e degli aiuti monetari da parte dello Stato, sia dal punto di vista
della condivisione della cura. In prospettiva – soprattutto alla luce del
passaggio al sistema contributivo - è assolutamente probabile che le pensioni delle donne si
impoveriscano ulteriormente.
Le fasi della vita dedicate all’accudimento
dei bambini vanno considerate, almeno dal punto di vista contributivo, come
periodi lavorati. In un’ottica di cittadinanza sociale, le/i caregivers vanno
tutelati anche dal punto di vista previdenziale: le riforme pensionistiche
devono prendere in seria considerazione la opportunità di integrare le pensioni
di chi si è dedicato alla cura.
Proponiamo:
§
contributi figurativi legati al
numero dei figli (ed eventualmente altri impegni di
cura): 24 mesi per il primo figlio e 12 per ogni figlio successivo (a scalare
rispetto alla contribuzione già riconosciuta per indennità di maternità e di
congedi parentali);
§
integrazioni contributive per i
periodi di lavoro part time per ragioni di cura, dato che a maggior ragione col passaggio al contributivo chi
lavora a part time risulta molto penalizzato nella pensione;
§
possibilità di anticipare la pensione, nel quadro di un sistema di pensionamento flessibile (62-67),
in caso di perentorie necessità di cura di un anziano non autosufficiente.
4.
sgravi fiscali per le micro e piccole imprese
Il congedo di maternità ha un costo
(l’integrazione dell’assegno al 100% della retribuzione, i ratei delle
mensilità aggiuntive, le ferie e le ROL maturate anche nell’assenza, i lunghi tempi per rimborsi Inps, etc.). Questo
costo incide particolarmente sui conti delle micro imprese ed è probabilmente
alla radice di molta parte della discriminazione subita dalle donne al momento
della assunzione, oltre che pretesto per mobbing nei confronti delle madri al
rientro dalla maternità.
Fin quando i costi della maternità non saranno interamente a carico della
fiscalità generale, le donne saranno penalizzate, con riflessi importanti
sull’economia del Paese e sulla loro autonomia personale ed economica.
Chiediamo che le micro e piccole imprese abbiano diritto ad un credito
d’imposta per ogni congedo di maternità, utilizzabile a partire dall’anno
di vita del bambino (per contrastare il fenomeno delle pressioni alle
dimissioni entro l’anno) e ad una riduzione dell’Irap per i congedi
parentali dei padri che prendono almeno tre mesi di congedo.
5.
un incentivo alla riduzione volontaria
dell’orario di lavoro
Un pilastro fondamentale per la
conciliazione è la destandardizzazione degli orari, sotto forma di orari
flessibili e di riduzioni volontarie (part time) temporanee o durature.
L’inerzia del modello di orario di lavoro standard, nato sulla
rappresentazione del lavoratore come
maschio-breadwinner, è ancora molto
forte ed è di ostacolo ai nuovi modi di intrecciare la vita e il lavoro delle
donne e delle giovani generazioni. Un
sistema di welfare attivo deve promuovere una più efficace conciliazione per le
madri e per i padri tra i tempi delle responsabilità familiari e quello del
lavoro retribuito e consentire così una maggiore libertà dei genitori di scegliere
il regime di cura dei figli, anche riducendo in alcune fasi della vita la
quantità di tempo dedicato al lavoro per il mercato.
Chiediamo l’attuazione del sistema già previsto dalla
l.196/1997, art. 13 (cd pacchetto Treu) che stabilisce una rimodulazione
delle aliquote contributive in base alle fasce orarie (ove le riduzioni di
orario siano definite contrattualmente), per incentivare la scelta
volontaria di orari ridotti.
6.
Riduzione delle tariffe degli asili-nido
pubblici
L’offerta di asili-nido, pur migliorata
nell’ultimo triennio resta abbondantemente al di sotto dello standard europeo e
le tariffe – e il modo con cui vengono articolate in ragione del reddito
familiare - restano spesso proibitive per
famiglie a due redditi (e insostenibili nel caso di due figli sotto i 3
anni).
In un’ottica di welfare attivo e di libertà di scelta nel regime
di cura, se vogliamo permettere alle madri di continuare a lavorare dobbiamo
fare in modo di spostare il costo-opportunità tra spesa per il nido e reddito
da lavoro nella direzione di
quest’ultimo.
Chiediamo che i nidi non siano più considerati “servizi a
domanda individuale” e che i costi siano resi più coerenti con una
redistribuzione su tutta la filiera educativa. Chiediamo inoltre che ci sia trasparenza nei costi sostenuti
dalle amministrazioni locali nella creazione del servizio per favorire una
maggiore efficienza amministrativa e quindi costi più bassi.
Trovo la proposta molto attuale: senza welfare per la famiglia non c'è lavoro nel futuro!
RispondiEliminacondivido tutta la proposta...e anzi vi chiedo come posso contribuire attivamente per sostenere questo progetto.
RispondiEliminagrazie:)
se sei su FB, iscriviti al gruppo Maternità&Paternità.
EliminaAltrimenti scrivi alla nostra email maternita.paternita@gmail.com, ti rispondo privatamente. Anna
Tutto molto interessante e condivido appieno. L'unica cosa che non condivido è la retribuzione al 60% dei congedi di paternità. Perché? Da un lato il solo 60% tratterrebbe di nuovo i padri dall'usufruire del congedo, cosa che già culturalmente non è ancora accettata. Ma soprattutto, il non equiparare i diritti dei padri a quelli delle madri, sancirebbe nuovamente una discriminazione per le donne come uniche depositarie del ruolo di cura dei figli, mentre mi sembra che le Vostre premesse siano quelle di universalità del care giver. Ad ogni modo, complimenti.
Elimina